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Le responsabilità giuridiche dell'allenatore

 

di Giammario Schippa

L'allenatore di calcio, a prescindere dal rapporto di natura professionistica o dilettantistica o di volontariato puro che lo lega alla società sportiva, non può ignorare di svolgere un’attività piuttosto complessa che cela, spesso, molte incognite.

Nell’esercizio della pratica sportiva del gioco del calcio, in allenamento o in gara, si possono verificare situazioni, originate da scontri e circostanze di gioco o da cause diverse ed accidentali, che potrebbero produrre degli eventi pregiudizievoli per l’incolumità degli atleti e/o di terzi estranei.
Quando l’evento dannoso si è concretizzato, si tratterà di verificare se sia in qualche modo riferibile alla condotta attiva od omissiva dell’allenatore, al fine di individuarne l’eventuale responsabilità sotto il profilo civile, penale o semplicemente sportivo ed etico. La giurisprudenza di legittimità sembra voler allargare sempre di più i casi in cui sarebbero configurabili i reati di lesioni personali e di lesioni personali colpose nell’ambito della pratica sportiva.
L’allenatore sportivo, infatti, acquisisce delicate responsabilità civili e penali derivanti dal ruolo ricoperto e dall’attività svolta, soggetta ai principi giuridici dell’ordinamento statale, al di là dell’autonomia dell’ordinamento sportivo.
Da qui la particolare e costante attenzione da parte dei dirigenti delle società ed associazioni sportive e delle varie Federazioni, degli stessi atleti e, soprattutto, degli istruttori sportivi, attraverso la propria Associazione (AIAC).

Responsabilità verso i giovani
La responsabilità che genera le maggiori preoccupazioni è certamente quella derivante dalla vigilanza sugli allievi minori di età. Esistono due tipi di responsabilità giuridica, in relazione al tipo di norma di legge che viene violata: la responsabilità penale e la responsabilità civile.
La responsabilità penale si ha allorché si commetta un reato e la legge prevede l’erogazione di una pena che può implicare restrizione della libertà personale (arresto o reclusione) o può essere di carattere pecuniario (multa o ammenda). Il reato è disciplinato negli elementi e determinato nei fatti dalla legge, ha carattere personale e deve atteggiarsi a fatto tendenzialmente colpevole. Occorre tuttavia ricordare che vi può essere una concorrente responsabilità di chi ha un dovere di vigilanza e custodia sui ragazzi. In caso di omissione si risponderà del reato a titolo di dolo se l’omissione è volontaria ed a titolo di colpa se l’omissione è colposa.
Le principali ipotesi di reato che si possono configurare nell’ambito della pratica sportiva sono: 1) la morte o lesioni personali in danno di un calciatore; 2) l’abuso sessuale; 3) l’abuso dei mezzi di correzione; 4) l’ingiuria; 5) la diffamazione.
La responsabilità civile si ha quando si è responsabili di un fatto che abbia causato un danno a terzi, con conseguente obbligo di risarcimento al danneggiato. La responsabilità civile viene, a sua volta, suddivisa in due categorie. Diretta: quando il responsabile ha lui stesso provocato il danno, oppure non ha impedito, con il proprio comportamento che un’altra persona lo provocasse; indiretta: quando si è chiamati a rispondere di un fatto compiuto da altra persona o cosa di cui si risponde giuridicamente (per es. la casa o l’automobile).
Il danno da risarcire consiste in “danno patrimoniale” quando si verifica una diminuzione del patrimonio del danneggiato ed in cosiddetti “danni non patrimoniali” che attengono a sofferenze patite, danni alla vita di relazione, alla salute, ecc., il cui ammontare viene stabilito dal Giudice. Gli artt. 2046, 2047 e, per i minori, l’art. 2048 del c.c. cercano di individuare, dal punto di vista dell’attribuzione della responsabilità, il soggetto che risponde quando l’autore di un danno è un soggetto incapace di intendere o di volere. Per il danno cagionato da bambini molto piccoli e da adulti incapaci, l’art. 2047 c.c. dispone che “In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”. È questa la cosiddetta culpa in vigilando. Tale norma può essere applicata nel caso di allievi in tenera età, quali quelli affidati alla Scuola calcio (ovvero ad atleti più grandi, ma in particolari situazioni, quali quelli portatori di handicap). La responsabilità dell’allenatore è presunta e riposa sull’omessa vigilanza dei minori, in quanto questi soggetti, per la loro immaturità, possono facilmente arrecare danni agli altri, per cui chi è tenuto alla sorveglianza deve impedire tale eventualità. Il bambino incapace di intendere e volere è esente da qualsiasi responsabilità. I minori che non sono incapaci di intendere o di volere sono responsabili in proprio e la responsabilità dei genitori e dei precettori e dei maestri d’arte è solo aggiuntiva.
La giurisprudenza ha esteso l’elencazione delle persone responsabili, di cui all’art. 2048 c.c., purché sussista il potere di direzione e controllo sugli atti degli allievi, a tutti coloro che svolgono mansioni di istruttori, di insegnanti e di vigilanza dei minori, tra cui gli allenatori sportivi.
Il dovere di vigilanza dell’allenatore va commisurato all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto. È da ritenere, anche se vi è giurisprudenza non unanime, che la responsabilità sussiste tanto nell’ipotesi di atti dannosi compiuti dagli allievi nei confronti di terzi quanto nell’ipotesi di danni che gli allievi possano procurare a se stessi con la loro condotta.
L’allenatore sportivo è responsabile del danno causato dall’allievo a sé medesimo durante la lezione, a meno che non dimostri che il gesto autolesivo si sia svolto con imprevedibilità e repentinità tali da rendere impossibile ogni suo intervento. La legge prevede comunque la “non responsabilità” di chi provi di non aver potuto impedire il fatto dannoso e di aver adottato in via preventiva, le misure organizzative idonee ad evitarlo.
Come si vede, mentre in linea generale spetta al danneggiato provare i danni, nel caso dell’insegnante vige il principio della “presunzione di colpa”, essendo posto a suo carico di dimostrare il contrario. Il dovere di vigilanza di cui sono investiti gli allenatori, prevede quindi una responsabilità “aggravata” a loro carico, in quanto essa si basa sulla presunzione, sia pur relativa, di colpevolezza per un negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza sugli allievi. La presunzione di colpa di cui all’art. 2048, comma 2, c.c. non può ritenersi applicabile nel caso in cui l’allievo sia persona maggiore d’età.

Esenzione di responsabilità
Che deve fare allora l’allenatore per andare esente da responsabilità? Deve dimostrare, per prima cosa, di essere stato materialmente presente tra i bambini e, in secondo luogo, di aver utilizzato tutti gli accorgimenti, previsti da una normale diligenza, per evitare eventuali incidenti. Ad esempio l’allenatore che, per forza maggiore, debba assentarsi dal campo, è tenuto a farsi sostituire o da altro collega o da personale ausiliario. In nessun modo la squadra può essere affidata ad un allievo. Un altro caso particolare può essere individuato nella responsabilità di un allenatore per incidente avvenuto fuori dall’impianto sportivo, qualora l’allievo (minore) sia stato allontanato, dopo esservi entrato, senza che alla famiglia sia stato dato regolare preavviso. Vi sono poi due limiti importanti alla responsabilità degli allenatori: quello temporale e quello territoriale. I limiti temporali si riferiscono all’orario in cui l’allenatore esercita la propria attività e la vigilanza sui minori ad esso affidati. L’allenatore non solo deve trovarsi nell’impianto sportivo prima dell’inizio dell’allenamento per assistere all’ingresso dei suoi allievi, ma deve rimanervi finché gli stessi non siano usciti, al termine dello stesso, con l’obbligo di accompagnare, alla fine dell’orario, gli allievi fino all’uscita dall’impianto sportivo. Il limite territoriale è costituito normalmente dall’impianto sportivo e dalle sue pertinenze. I compiti di organizzazione e controllo spettanti alla società sportiva portano a configurare altre possibili ipotesi di responsabilità. La società è, infatti, tenuta a garantire la sicurezza delle attrezzature e dell’impianto sportivo, al fine di evitare possibili fonti di rischio ed a predisporre adeguate misure organizzative, adottando al riguardo i provvedimenti appropriati (può essere il caso, per esempio, di una insufficiente o inadeguata regolamentazione dell’avvicendamento degli allievi in campo per l’allenamento con lo stesso allenatore, non assicurando la continuità nella vigilanza dei primi atleti negli spogliatoi).
In base all’art. 2049 c.c. la società sportiva può essere chiamata a rispondere, a titolo di responsabilità extracontrattuale, dei danni subiti dall’allievo per fatto illecito dell’allenatore, posto in essere nell’esercizio delle incombenze cui è adibito. Per escludersi la responsabilità della società sportiva, questa dovrà provare che non sussistono i presupposti di cui all’art. 2049 c.c. e quindi che il danno non è riferibile alle mansioni dell’allenatore oppure che esso è riferibile unicamente alla sua sfera privata. Gli allenatori hanno un potere di direzione, controllo tecnico e disciplinare dell’atleta. Il loro comportamento dovrà considerare sia la pericolosità dello sport praticato sia le capacità e le facoltà di apprendimento dell’allievo. Una responsabilità sarà ravvisabile quando sia riscontrabile un difetto o una omissione nell’esercizio di questi poteri. In concreto l’allenatore non ha la possibilità materiale di seguire “passo passo” tutti gli allievi presenti al campo: egli quindi dovrà predisporre, con un minimo di comportamento prudenziale, tutti quegli accorgimenti che possano prevenire eventi dannosi. Saranno esenti da responsabilità quando gli eventi lesivi siano causati dall’inosservanza degli ordini impartiti, perché chiaramente non è possibile individuare in capo agli allenatori un obbligo di costringere i propri atleti all’obbedienza.
È da ritenere che l’affidamento di un minore, effettuato dai genitori ad una società sportiva, comporta per questa e per chi agisce su suo incarico, il dovere di vigilare il minore, controllando, con la dovuta diligenza e con l’attenzione richiesta dallà e dallo sviluppo psicofisico, che questi non venga a trovarsi in situazioni di pericolo con conseguente possibilità di pregiudizio per la sua incolumità; tale vigilanza deve essere esercitata dal momento iniziale dell’affidamento sino a quando ad essa si sostituisca quella effettiva o potenziale dei genitori, senza che possano costituire esimenti della responsabilità della società sportiva le eventuali disposizioni date dai genitori (come ad esempio, quella di lasciare il minore senza sorveglianza in un determinato luogo) potenzialmente pregiudizievoli per il minore, derivandone, ove attuate, una situazione di possibile pericolo per l’incolumità dello stesso.
Discende dai richiamati principi la inopportunità di adottare disposizioni interne alla società sportiva dirette a richiedere ai genitori degli alunni la “autorizzazione” al rientro a casa di questi ultimi non accompagnati da soggetto maggiorenne (nel gergo in uso, tali autorizzazioni vengono definite “liberatorie”, concretizzandosi in formule di esonero da responsabilità della società per gli eventuali danni conseguenti alla descritta situazione). Simili autorizzazioni, infatti, lungi dal costituire causa esimente la responsabilità della società per le lesioni eventualmente subite dall’allievo dopo l’uscita dall’impianto sportivo, possono costituire avallo e prova della consapevolezza da parte della società stessa e dei suoi addetti della modalità di “uscita” dall’impianto sportivo degli allievi, con la conseguenza di risolversi, sul piano probatorio di un eventuale giudizio risarcitorio, in una ammissione implicita della omissione di vigilanza sugli stessi. Il soggetto cui riaffidare gli allievi all’uscita dall’impianto sportivo deve essere maggiorenne.
Il problema della responsabilità civile, intesa in senso strettamente giuridico, si risolve attraverso la stipulazione di un contratto assicurativo che si prende in carico il risarcimento del danno.

De iure condendo
Alla luce delle considerazioni che precedono si impone una riflessione ed una proposta. Altri professionisti (avvocati, medici, psicologi, ecc.) si avvalgono non dello stesso tipo di responsabilità dell’allenatore sportivo, quanto invece dell’art. 2236 c.c.: se la prestazione comporta la soluzione di problemi tecnici di specifica difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. Ed ancora, l’art. 61 della legge n. 312/1980 stabilisce che la responsabilità patrimoniale degli insegnanti pubblici è limitata ai soli casi di dolo o di colpa grave nell’esercizio della vigilanza sugli alunni. È auspicabile, quindi, che il Legislatore Statale riconosca la stessa limitazione di responsabilità anche agli allenatori sportivi. Com’è noto, la colpa grave è ravvisabile nella condotta di colui che agisce con straordinaria ed inescusabile imprudenza e che omette di osservare non solo la diligenza del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza che tutti osservano. Come per gli altri professionisti, detta responsabilità andrebbe relegata alla colpa grave solo qualora l’allenatore abbia dovuto affrontare problemi “professionali” di speciale difficoltà e per imperizia abbia cagionato il danno. Non, si badi bene, per incuria o imprudenza, ritenendosi tali condotte degne delle valutazioni più severe e rigorose.


* L’avvocato Giammario Schippa è presidente della Commissione Disciplinare Territoriale della F.I.G.C. - L.N.D. - Comitato Regionale Marche
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